La chiesa è sorta contemporaneamente al convento negli anni 1432-1433,
quando il papa Eugenio IV, supplicato dal vescovo Carlo Arcamone e dall' Università di
Bitetto, li autorizzò, con il breve "Piis fidelium", a fondare in lungo
"congruo et honesto" una casa religiosa per accogliervi una comunità di Frati
Minori Osservanti. Allora, in Puglia, vi erano due gruppi autonomi Minori di Osservanti,
derivati entrambi dallo stesso movimento, che ebbe il suo iniziatore e promotore nel beato
Paoluccio dei signori Trinci di Foligno. I frati del primo ramo erano venuti direttamente
dall'Umbria; il secondo ramo, invece, era stato importato dalla Bosnia Argentina
(Yugoslavia), nel 1391, quando il principe di Taranto, Raimondello del Balzo Orsini,
offrì a quei francescani slavi il convento e la chiesa di S. Caterina in Galatina, che
divenne la sede della "vicaria della Bosnia", dalla quale sciamarono altre
comunità di osservanti bosniensi, tra cui quella che per prima abito' il convento di
S.Francesco in Bitetto. I due rami della Puglia furono fusi e sottoposti alla stessa
obbedienza attorno al 1446. Le anomalie strutturali ed architettoniche, visibili a primo
acchito e ancor più evidenziate dai recenti rilievi planimetrici fatti dall' Architetto
Angelo Turchiano, hanno dimostrato che la chiesa cinquantesca doveva essere diversa da
quella attuale, sia per le dimensioni, sia per la pianta tripartita e il suo orientamento.
Dai cronisti della Serafica Riforma di Puglia, si conosce con certezza che i Frati
Riformatori, che nel 1625 subentrarono agli Osservanti, iniziarono una serie di
trasformazioni radicali in chiesa e in convento, spingendo le innovazioni a tal punto da
rendere estremamente arduo poter identificare la planimetria e la morfologia originale.
Bonaventura da Lama dice che essi abbatterono la
copertura di legno della chiesa primitiva, e, consolidati dalle fondamenta i pilastri,
innalzarono, al di sopra della trabeazione, l'attuale volta a botte con finestre barocche.
in un tempo successivo, addossarono ai pilastri, il cui intonaco sui quattro lati è stato
rilevato in un recente restauro, le robuste lesene su cui impostarono gli archi delle
volte a crociera delle navate laterali.I Riformatori ristrutturarono anche il presbiterio,
e, come abside, innalzarono l'attuale altare maggiore, alle cui spalle costruirono i due
cori sovrapposti, che saranno demoliti e rifatti del 1842. Questi lavori dovettero essere
completati prima del 22 Aprile 1657, quando Francesco Gaeta consacrò la chiesa e il
nuovo altare e fissò al 1° settembre la festa della dedicazione. La lapide, che ci
tramanda il ricordo di questi eventi, usa il verbo "traslato", cioè
"trasferito o traslocato", il che fa supporre che prima si celebrava un'altra
festa della dedicazione della stessa chiesa, e della consacrazione dell'altare maggiore.
Pertanto, se nel 1657 si avvertì la necessità di procedere alla ricostruzione della
chiesa e dell'altare maggiore, vuol dire che i lavori di ricostruzione dovettero aver
cambiato cosi' radialmente la planimetria e la morfologia della chiesa da farla
ritenere sconsacrata. Così la lapide murata all'interno dell'ingresso è un documento
prezioso che conferma lo storico Bonaventure da Lama.
Nel 1749, P. Tommaso da bari, "già
Definitori ed ora Custode, abbellir fece la Chiesa, con togliere tutti i pilastri di legno
che erano avanti le Cappelle",(Riccardo Iacovelli, Cronologia de' VESCOVI Bitettesi,
c, XXXXI, Angelo Maria Marculli). E' difficile dire di quali pilastri lignei parli
Iacovelli, dato che non si può' neppure immaginare l'abbattimento dei pilastri portanti
ricostruiti prima del 1657. Nello stesso capitolo, Iacovelli dice che nel 1761 "di
del nuovo fecesi la Prospettiva della Chiesa, ampliandola come oggi vedesi, con situarsi
sulla cima d'essa tre statue, di Maria Immacolata, di S. Francesco e del Beato
Giacomo". Sempre secondo lo stesso cronolo bitettese, "Nell' Anno
seguente si stucchiò tutta la chiesa predetta per dargli maggior lustro, e si proseguì
con i'ndoratura". Gli stucchi indorati incorniciarono i misteri della Madonna
che Giuseppe MUSSO nello stesso anno dipinse a tempera sull'intonaco della volta, divisa
in sei campate. Nel 1901 il portale subì vistose trasformazioni, come si rileva
da due iscrizioni firmate e datate.
La prima, incisa sotto l'architrave della porta, dice: "A. 1901 G.no
Chiapparini rifece". La seconda, incisa sul bordo inferiore del medaglione
lapideo, sospeso nel timpano del portale e raffigurante a rilievo il Beato con
l'albero-bastone, dice: "Al Beato Giacomo - Dono di S Percoco-maggio 1901".
Gl'interventi del 1901 sul portale non disturbarono l'euritmia del prospetto del
1761, il quale sviluppa un discorso architettonico logico e coerente fino alla naturale
conclusione del fastigio. Infatti, i tre ordini o scomparti, in cui si divide, si
intrecciano armonicamente tra di loro mediante le linee orizzontali, rappresentate dalle
due trabeazioni, e le linee verticali delle quattro lesene, le cui mediane si concludono
con i due acroteri della cuspide. Tra i capitelli dorici delle lesene e la prima
trabeazione, corre un del fregio, fatto con sei piccoli dischi ombelicali e quattro fasce
scanalate a guisa di triglifi, collegati tra loro da una linnea dentata.
L'interno della chiesa ha cambiato continuamente aspetto, a seconda
dell'arredamento dei superiori, sollecitati dalla petulanza di certi devoti, desiosi di
eternare la loro memoria con qualche opera vistosa e consistente. Così i successivi
rifacimenti della pavimentazione fecero sparire le lapidi sepolcrali dei Carafa e dei de
Angelis, attestate nel 1647 da Diego da Lequile e che sarebbero state di grande aiuto
storico. La voglia di erigere nuovi e più lussuosi altari cancellò vaste aree di pitture
murali, di cui è rimasto uno scampolo di testine d'angeli nella nicchia della Pietà. Nel
1943, con il finanziamento del barone Vincenzo De Ruggiero e la consulenza del
soprintendente Schettini, furono smantellati gli altari, per essere sostituiti con 6 nuovi
in marmo giallo, i quali non ebbero tregua, prece nel 1976 divennero 5, ai quali furono
mozzate la mensa e la pedana.
Tratto da "IL BEATO GIACOMO
E IL SUO SANTUARIO" 1987 - P. Amedeo Gravina
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